giovedì 28 maggio 2020

23 maggio 1992, Cosa Nostra uccide Giovanni Falcone, ma la sua morte per la mafia sarà l'inizio della fine






Giovanni Falcone nasce a Palermo il 18 maggio 1939 nel quartiere malfamato della Kalsa,  da Arturo, direttore del Laboratorio chimico provinciale, e da Luisa Bentivegna.   È un ragazzo molto vivace: gli piace muoversi e giocare a pallone, giochi  che condividerà con gli altri bambini del quartiere, fra cui anche il futuro amico Paolo Borsellino e non solo, anche con  alcuni figli di mafiosi, tra cui il boss Tommaso Buscetta. 

Già dai tempi delle elementari si nota che  Giovanni è un bambino molto bravo e sveglio.

Ma è nell’ambiente familiare che Giovanni assorbe i valori che ne avrebbero contraddistinto il comportamento per tutta vita: la madre gli parla spesso dello zio bersagliere e il padre dell’altro zio. 

Due uomini coraggiosi e di  grandi valori morali. Nel giovane Falcone si imprimono così il senso del valore del sacrificio e un forte senso di attaccamento al dovere. Dirà lui stesso più tardi: “Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l’essenza della dignità umana”.

Giovanni inizia i gli studi veri e propri durante il liceo classico dove scopre l'interesse per nuove concezioni della vita. Anche se in un primo tempo Giovanni sembra destinato alla carriera militare, poi cambia idea, decidendo di iscriversi a giurisprudenza. Diventa magistrato nel 1964, a 25 anni.



Falcone, insieme al collega giudice Paolo Borsellino, inizia una lotta senza quartiere contro Cosa nostra,  la potentissima mafia siciliana.

Falcone è abilissimo a scoprire i soldi nascosti della mafia e le complicità di banchieri, industriali e politici corrotti, che della mafia sono complici.



“Un cadavere si può fare sparire, una pistola gettare in mare, - dice Falcone -  ma i soldi no, i soldi lasciano sempre una traccia, che si può seguire”

I due giudici, ben presto vengono considerati  i  più coraggiosi e preparati  esponenti della lotta alla mafia.



Un sabato di maggio del 1992,  Giovanni Falcone viene ucciso in un attentato provocato dalla mafia. Un attentato che supera qualsiasi limite di immaginazione. Vengono piazzati mille chili di esplosivo sotto l'autostrada che Giovanni Falcone, di ritorno da Roma, dove sta per essere nominato procuratore nazionale antimafia, sta percorrendo quel giorno dall'aeroporto di Punta Raisi a Palermo. Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, rimangono uccisi.



Dopo meno di due mesi viene ucciso anche  Paolo Borsellino, in un attentato mafioso avvenuto il 19 luglio 1992. Il magistrato, inseparabile amico e collega di Falcone, sta andando da sua madre, arrivato davanti alla casa, in via D'Amelio, suona al citofono e si attiva l’esplosivo che era stato nascosto in una macchina posteggiata lì vicino.




Poco tempo prima c’era stato il maxiprocesso, il risultato eccezionale di una lotta alla mafia attraverso la giustizia, che era durata ben 6 anni, dal 10 feb 1986 al 30 gen 1992.

Il 10 maggio era tutto pronto nell’aula del tribunale di Palermo che quel giorno però non avrebbe ospitato il maxiprocesso perché questo sarebbe stato svolto in un'aula- bunker, per evitare eventuali attentati; quest’aula era in grado di ospitare centinaia di persone, inoltre era dotata di celle per detenere tutte le centinaia di mafiosi che Falcone e Borsellino erano riusciti a portare in tribunale, accusandoli semplicemente  di associazione mafiosa.

Durante questo processo ci fu un colpo di scena:  un mafioso, essendosi pentito ed   avendo tradito la mafia,  aveva rivelato tutti i segreti di cosa nostra. Era  Tommaso Buscetta, che interrogato da Falcone,  permise allo stato di avere  preziosissime informazioni per sconfiggere la mafia. 

Ma per svolgere questo processo si aveva bisogna di magistrati; di solito trovarli era facile, ma in questo caso no, tutti loro avevano paura di finire successivamente nel mirino della mafia..

Alla fine si trovarono due pubblici ministeri: Giuseppe Ayala e Domenico Signorino, che si sarebbero alternati in aula.





Nonostante il feroce omicidio di Falcone e Borsellino, grazie al loro eccezionale lavoro di indagine e al maxiprocesso, la mafia siciliana conobbe la sua prima grande sconfiita. Quasi mille mafiosi finirono dietro le sbarre di una prigione. La commozione e la rabbia per l'omicidio dei due magistrati fece il resto: migliaia di siciliani alzarono la testa e decisero di non accettare più le minacce e le prepotenze dei mafiosi. Nonostante altri attentati e altri sanguinosi omicidi, avvenuti nei mesi successivi,  per la mafia siciliana il sacrificio di Falcone e Borsellino fu l'inizio della fine.


Andrea Cavallaro


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